Basta far parlare le armi?

 

 

di Robert Reich

La nostra causa è giusta, ma questo non può impedirci di affrontare due questioni di grande importanza. La prima, chiederci come mai ci siano al mondo tante persone che non sono terroristi ma che odiano l’America; la seconda, cercare dei modi per ridurre il loro odio. A questo riguardo, riconoscere gli errori compiuti in passato dall’America non significa giustificare il terrorismo, così come trovare le maniere per placare quell’odio non significa venire a patti con i terroristi. Al contrario, si tratta di guardare al contesto più ampio del terrorismo - il terreno in cui ha messo radici - e di esaminare il nostro ruolo nel creare quelle condizioni o nel permetter loro di perdurare.

È qui che sia la destra che la sinistra americana, intellettuale e politica, sembrano incapaci di dar vita a un dibattito ragionato. Gran parte della sinistra è ancora lì a lamentare il sostegno che in tempi di Guerra Fredda l’America fornì ai dittatori anticomunisti - gli scià, Mobutu, Somoza, i colonnelli greci, i generali coreani, Pinochet, Marcos, i mujaheddin - e il raccapricciante curriculum del nostro Paese, che fece loro da consigliere, addestrò i loro squadroni della morte, istruì ed armò i loro torturatori specializzati, li aiutò a trafugare le loro enormi ricchezze. Considerando la nostra storia passata, la scintillante profusione di bandiere americane, inni patriottici, e considerazioni trite e banali su "libertà e democrazia" offerta dai politici americani dopo l’11 settembre sembra, a molta parte della sinistra, pericolosamente anti-storica se non semplicemente ipocrita.La destra, dal canto suo, liquida la nostra sordida storia considerandola irrilevante per quel che riguarda la crisi attuale e accusa chiunque osi ricordarla di voler far cadere la colpa del terrorismo sulle spalle dell’America.

Entrambe le parti hanno torto: la sinistra, quando suggerisce che la storia americana dovrebbe indebolire la nostra determinazione nel combattere l’estremismo islamico; la destra, quando presume che il nostro curriculum storico non abbia alcun legame col fatto che la maggior parte del Terzo Mondo odia l’America. Nessuno mette in dubbio che la lotta al terrorismo vada condotta con tutte le nostre forze. Ma è importante capire che la nostra storia ha dato forma alle opinioni di molte nazioni povere della cui cooperazione abbiamo bisogno, ma anche alle idee di molti dei poveri del mondo che sono attratti dal fondamentalismo radicale e resi ostili dalla prepotenza americana.

Lo scontro fra "comprensione" e "colpevolizzazione" si ripete, in altro ambito, fra i sostenitori americani dello Stato di Israele e chi invece lo critica. I sostenitori non vogliono ammettere che parte dell’animosità del Terzo Mondo nei confronti degli Stati Uniti venga dal suo sostegno a favore di un governo israeliano che ha assassinato i leader palestinesi, ha bombardato le città palestinesi, ha demolito le case dei palestinesi, e ha fatto espandere gli insediamenti israeliani sulla West Bank. I critici, dal canto loro, non vogliono riconoscere l’enormità della violenza che si abbatte sugli ebrei israeliani e le loro legittime preoccupazioni di sopravvivenza in una regione in cui la popolazione araba ostile sta crescendo rapidamente. Anche qui, il dibattito non riesce quasi mai a cogliere il punto essenziale della questione. È tempo che gli Stati Uniti facciano pressione su Ariel Sharon e Yasser Arafat perché riprendano il processo di pace con l’idea di creare uno Stato palestinese separato sulla West Bank. Non c’è dubbio, che gli Stati Uniti e l’Occidente potranno, anzi dovranno assumere un ruolo più impegnativo nella creazione di questo Stato. Senza il quale, l’ostilità incessante tra israeliani e palestinesi non farà che infiammare ancora di più il mondo islamico. Per venire al punto, dobbiamo ripensare le responsabilità che ricadono su di noi come unica superpotenza rimasta del globo. I sostenitori dell’America First, dell’America prima di tutto, insistono che non abbiamo obblighi nei confronti di nessuno al di fuori dei nostri confini e che dovremmo agire solo quando il nostro interesse nazionale è direttamente in gioco. Ciò implica espandere il commercio globale, stabilizzare l’economia mondiale attraverso l’International Monetary Fund, difenderci dai missili degli Stati canaglia, e combattere il terrorismo che minaccia la nostra sicurezza nazionale. I globalisti affermano che abbiamo dei doveri morali più importanti: Dobbiamo combattere il genocidio ovunque si verifichi; condividere la nostra ricchezza e conoscenza per salvare le vite di 50 milioni di persone l’anno - tra cui 12 milioni di bambini - che altrimenti morirebbero di malattie che si possono prevenire o di malnutrizione; assumere la nostra giusta parte di costo della riduzione delle emissioni di anidride carbonica, migliorare le condizioni di vita e di lavoro nel terzo mondo, e rovesciare il trend che va verso una sempre maggiore disuguaglianza tra le nazioni ricche e povere.

Considerando il contesto più ampio del terrorismo, ognuna di queste posizioni ha una sua parte di verità - ma nessuna delle due è sufficiente. I sostenitori dell’America First hanno ragione quando affermano che l’interesse nazionale deve essere la preoccupazione fondamentale dell’America, ma i globalisti non sbagliano nel richiamare l’attenzione sui molti modi in cui gli Stati Uniti possono giocare un ruolo più costruttivo sullo scacchiere mondiale. Diffondere la prosperità e alleviare le sofferenze umane fa parte del nostro interesse nazionale nella misura in cui riduce la rabbia che molti dei poveri del mondo provano verso la ricca e potente America e, allo stesso tempo, crea le opportunità perché quegli stessi poveri condividano i benefici dell’economia globale. È la stessa lezione che abbiamo imparato quando abbiamo partecipato alla ricostruzione dell’Europa e del Giappone distrutti dalla guerra dopo il secondo conflitto mondiale, quando la minaccia emergente dell’Unione Sovetica ci ha spinto ad assumere un punto di vista più ampio in materia di sicurezza nazionale. La minaccia del terrorismo dovrebbe indurci a pensare con una generosità non minore. Identificare e rispondere alle cause basilari del terrorismo non giustifica in nessun modo gli orrori che i terroristi ci infliggono, né dovrebbe essere interpretato come un modo di venire a patti con loro. Al contrario, fa parte di una strategia a lungo termine per sradicarli. In ultima analisi, il terrorismo non può essere sradicato se non dove affonda le sue radici.

Tony Blair promise, durante la sua prima campagna per diventare primo ministro inglese, di essere "duro con il crimine, e duro con le cause del crimine". Era possibile, e auspicabile, fare entrambe le cose. È lo stesso con questa guerra, che va combattuta su due fronti: dobbiamo essere brutalmente duri sul terrorismo ma ugualmente duri per quanto riguarda le sue cause.

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Fonte: Unità 6 novembre 2001